venerdì, novembre 24, 2006

La signora delle ossa.


Forse sono antropologicamente contraria alla cremazione.
Anche se il testamento orale che professo da 15 anni auspica la dispersione delle mie ceneri dai pinnacoli rocciosi di Capodorso e un cannibalismo simbolico delle stesse da parte dei miei cari che avranno premura- quando sarò mancata al loro affetto - di confezionare una torta con qualche cucchiaiata dei resti mortali per mangiare un pezzettino di me (NO, non è macabro!)…
Sarà il periodo, sarà che parlo in dialetto con la pancia o italianizzo frasi idiomatiche…sarà questo novembre di panettoni misti a crisantemi all’Esselunga, sarà il fatto che converso con le piante o con i morti, saranno i fenomeni di Poltergeist nel mio monolocale (forse più attribuibili alla colonna fecale marcia e ad una scarsa insonorizzazione) o la circostanza che ho visto dal balcone Dumminico – mio nonno- parcheggiare la bici nel cortile interno, ma lui non è più dall’86. Comunque mi sono ricordata del 25 febbraio brinoso del 1998, giorno in cui accompagnai la nonna ad esumare il suo Minicuccio. Ho un ricordo acquamarina: la muffa che tingeva di verde la sala mortuaria e la muffa color turchese che formava piccoli cerchi sulla fronte del nonno, cui l’erba spuntava tra i capelli. La nonna gli sistemava sempre la tomba con lo stesso piglio con cui riassettava il letto. Ed era serena nel ritrovarlo lì, al quadrato 8, molto più di quando lo recuperava al bar di Capocasale dopo ore a ciabattare tra i vicoli “Non ci posso più parlare, ma mo’ so sempre dove sta e poi certe notti mi viene ancora a trovare, o che ne so, me lo sogno e basta perché è rimasto l’odore sul cuscino”. Il disagio per la putrefazione si mischiava alla nostalgia e tenevo il fazzoletto impregnato di eucaliptolo sulla bocca nel timore di chissà quale miasma. La nonna no. Salda sulle gambe. Constatava la condizione della spoglia, accovacciata, con una scopetta da focolare, una vecchia spazzola per vestiti, uno straccio imbevuto d’alcol; e puliva le ossa ad una ad una, teschio compreso. E per ogni osso faceva una stima tutta sua, ne associava la durezza alla “capa tosta”. Io cercavo di vederci altro, nelle ossa:non il nonno, ma la costanza minerale dei sassi. Il contorno complicato dello scheletro svanì senza apparenza. La nonna si riprese la fede, scivolata tra le pieghe lise della giacca. Secondo lei Minicuccio era in splendida forma.